Alcune settimane fa, abbiamo preso atto di una notizia perlomeno singolare, anche se un po’ attesa: lo Stato aveva ‘scoperto’ gli ultrasettantenni che, finalmente, avrebbero potuto, anzi, scusate, dovuto, continuare a lavorare, in particolare nel servizio sanitario nazionale, pena il blocco del Servizio stesso.
In quei giorni, si badi, del Coronavirus non si sospettava nemmeno l’esistenza.
Contrariamente a quanto ci era stato prospettato fino a quel giorno, complice una diffusa e miope superficialità, i settantenni ed ultra sono passati di colpo, come una folgorazione inattesa e illuminante, dall’essere considerati un peso della società, al punto da non meritare nemmeno il misero contentino dell’adeguamento Istat della pensione all’aumento del costo della vita, sono passati, dicevo, all’essenziale ruolo di salvatori e custodi della nostra salute, della nostra integrità psicofisica.
Sia chiaro, non intendo minimamente lamentarmi di questa auspicata e perfino tardiva riconsiderazione di chi ha raggiunto l’invidiabile traguardo dei 70/80 anni, mi stupisco solo (ma forse sto mentendo…) che i nostri governanti, quale che sia la loro colorazione politica, abbiano compreso così tardivamente che quello del lavoro non è semplicemente un problema di età e di fredde valutazioni anagrafiche, ma un più complesso e intricato sistema che si fonda (o dovrebbe fondarsi) su parametri quali preparazione, qualificazione, competenza, passione… e solo, ribadisco, solo, dopo tutto questo entra in gioco la sia pur ovvia e naturale implicazione dell’età!
Insomma, pensavo che fosse davvero giunta l’ora della rivalutazione dei “nonni” la cui partecipazione alla vita economica e sociale del Paese è comunque fondamentale per molti aspetti e non è riconducibile esclusivamente all’età ma, finalmente, alla personale consapevolezza e alla voglia, mai sopita, di costruire e di ‘trasmettere’, concetto, quest’ultimo, che non va certo confuso con l’aberrante e vuoto mondo dei follower e dei following.
Poi, in modo drammatico e subdolo, irruppe il Coronavirus!
L’impatto, apparentemente insignificante, quasi noioso di questo contagio (“poco più di un’influenza”, celiava qualcuno), si vestì subito, tuttavia, di un connotato in apparenza rassicurante per la maggior parte della popolazione ma un po’ crudele e per nulla riconoscente per alcuni: “guai all’anziano, soprattutto se indebolito e portatore di qualche disturbo, di stagione o tipico dell’età!”
Nessuno lo disse apertamente, ma riecheggiava, un po’ sinistro, quel passaggio dei “Promessi Sposi” manzoniani che suggeriva cinicamente “gran scopa la peste!”
Così, in pochi mesi, dopo svariati decenni di sopportazione, non di rado irridente e poco rispettosa, i “matusa” sono divenuti l’ultima trincea, quella del nostro servizio sanitario nazionale e quella della vita!
Roberto Timelli