Sul controverso tema della felicità e del suo contrario, la saggezza popolare tramanda da sempre una massima davvero illuminante: “Nulla è più difficile da sopportare di una felicità apparentemente senza increspature”.
Eh sì, forse dovremmo davvero farla finita con l’atavica favola secondo cui felicità, beatitudine e serenità siano le uniche mete da perseguire nella vita e iniziare a considerare che la ricerca della felicita sia già di per sé una sorta di… felicità.
Peraltro, non dimentichiamo che perfino il concetto stesso di felicità è difficilmente definibile.
Illuminante, in tal senso, è il racconto, di evidente matrice ebraica, nel quale un figlio annuncia al padre la propria intenzione di sposare una certa ragazza. Il padre obietta che la signorina in questione non porta nulla in dote e il figlio ribatte dicendo che solo con lei potrà essere felice. A questo punto il padre chiede: “Essere felice, e che cosa ne ricavi?”
Detto questo, dobbiamo prendere atto che disgrazie, tragedie, catastrofi, crimini, colpe, follie e pericoli siano la materia prima e pulsante delle grandi creazioni. L’Inferno di Dante è di gran lunga più geniale del suo Paradiso; lo stesso vale per il Paradiso perduto di Milton, in confronto al quale il Paradiso riconquistato è decisamente insipido; il Faust I commuove fino alle lacrime mentre il Faust II fa sbadigliare.
Insomma, parliamoci chiaro: che cosa e dove saremmo senza la nostra infelicità, vera o presunta? Essa ci è, nel vero senso della parola, dolorosamente necessaria.
Del resto, nel regno animale, ai nostri cugini mammiferi le cose non vanno certamente meglio. Si osservino, per esempio, i deleteri effetti della vita nello zoo che pur proteggendo tante magnifiche creature dalla fame, dai pericoli e dalle malattie, ne fa l’equivalente animale dei nostri nevrotici e psicopatici amici, compagni e colleghi.
Neppure la trascendente fiducia in realtà e mondi superiori è esente da patologiche e invadenti percezioni create dalla nostra mente e orientate, guarda caso, verso timori dolorosi e convinzioni negative.
Proprio come ci spiega la breve storia che riporto di seguito.
Prima di morire, una giovane moglie strappò al marito la promessa solenne che non avrebbe avuto relazioni con altre donne dopo la sua morte.
“Se tu non manterrai la promessa, il mio spirito ritornerà e non ti darà pace.”
Per un po’ l’uomo mantenne la promessa fatta, ma dopo qualche tempo conobbe un’altra donna e se ne innamorò.
Poco dopo cominciò ad apparirgli, ogni notte, un fantasma, che lo accusava di aver mancato alla parola data. Che si trattasse di un fantasma è per l’uomo fuori discussione, se non altro perché si dimostrò sempre informato non solo su ciò che avveniva quotidianamente tra lui e la nuova donna, ma anche riguardo a pensieri segreti, speranze e sentimenti!
Quando la situazione divenne davvero insopportabile, l’uomo si rivolse a un maestro zen al quale chiese un consiglio.
“La sua prima moglie è diventata un fantasma ed è a conoscenza di tutto ciò che lei fa,” confermò il maestro.
“Qualunque cosa lei faccia o dica, ogni suo gesto nei confronti della donna che è entrata ora nella sua vita, il fantasma lo sa. E’ senza dubbio uno spirito sapientissimo!
La prossima volta che le apparirà, faccia un patto con questo spirito: gli dica che è davvero molto bene informato e che non gli si può nascondere nulla, ma che lei romperà il suo fidanzamento e non si risposerà solo se risponderà a una domanda.”
“Che domanda devo porgli?” chiese l’uomo.
Il maestro rispose: “Prenda una bella manciata di fagioli e gli chieda se è in grado di dirne il numero esatto. Se non saprà rispondere, lei avrà la certezza che si tratti di un parto della sua fantasia e non sarà più disturbato.”
Quando la notte successiva il fantasma della moglie si ripresentò, egli lo lusingò tessendo le lodi della sua sapienza.
“Infatti,” rispose il fantasma, “so anche che oggi sei andato da un maestro zen.”
“E allora, visto che sai tante cose,” ribatté l’uomo, “dimmi, quanti fagioli ho in mano?”
In quello stesso istante non ci fu più alcun fantasma a rispondere a questa domanda.
Ora, e la ‘domanda’ riguarda davvero ciascuno di noi, preso atto del fatto che l’infelicità e la sofferenza facciano parte integrante e fertilizzante della nostra vita, e riconoscendo quindi che senza l’infelicità non avremmo reali prospettive di crescita e di maggior consapevolezza del nostro essere, da quale fantasma negativo e pieno di ossessive pulsioni pensiamo di dover liberare la nostra vita, magari usando una manciata di fagioli?
Roberto Timelli