Frequentavo ancora il liceo scientifico; l’età, mi pare, era attorno ai sedici anni.
E’ un’età, si sa, contraddistinta, nella popolazione maschile, da un diffuso senso di onnipotenza alimentato da tempeste ormonali (cioè il testosterone, per essere davvero “scientifici”), che concentrano senza alcun preavviso la percezione e la identificazione del proprio essere in quell’area virile del nostro corpo che si trova molto più in basso rispetto alla nobile e riconosciuta sede dell’intelletto.
Nel corso, dunque, di diversi incontri “fra amici” (incontri cioè nei quali accadeva che ci si confrontasse senza troppi veti di natura culturale o, men che meno, spirituale), i componenti descrivevano, senza censura, alcuni aspetti delle loro/nostre prime esperienze fisiche vissute nei primi approcci veri con l’altra metà del cielo.
Devo ammettere che quelle “confidenze” non rappresentavano (sigh!) il meglio di quanto possa elaborare ed esprimere il sesso maschile a cui appartengo. In ogni caso, per dovere di cronaca, e confermato che non era esattamente elevatissimo il tono e nemmeno l’oggetto dell’analisi, ricordo che ci si compiaceva nel soffermarsi su un particolare, che è poi la più nascosta componente anatomica della controparte femminile.
Il tono, per capirci, era del tipo:
La mia ce l’ha stretta…
La mia ce l’ha…
La mia ce l’ha…
La mia…..
La mia ….
Immancabilmente, dopo un po’ di descrizioni e considerazioni non propriamente scientifiche, il più statistico e curioso del gruppo si rivolgeva a me, sempre un po’ in disparte e silenzioso, se non altro per la naturale riservatezza del mio carattere, poco incline a condividere così sfacciatamente intimità che rientravano nell’area di quel “riserbo romantico” di cui ero (così pensavo) ‘portatore sano’.
E la tua, come ce l’ha?
La mia…?… Non ce l’ha!
Che fatica il rispetto!
Roberto Timelli