Covid-19 è la sigla di un virus devastante e intrusivo. Vero, ovviamente, però non è solo questo.
Come spesso accade nelle vicende umane, e forse anche non umane, le implicazioni immediate ed evidenti non sono tutto, anzi, i cambiamenti indotti da eventi gravi e, come in questo caso, planetari sono molti e apparentemente non tutti pertinenti in modo diretto con gli eventi in corso.
Quello che vorrei trasmettere con queste mie considerazioni è il fatto epocale e straordinario che si cela sotto il manto infettivo e contagioso del virus che ci ha colpito, e cioè un simbolo di cambiamento, neanche troppo sotterraneo, che l’epidemia sta portando con sé. Quale?
La fine, ma non solo, del traino maschile (reale o non reale non ha importanza) della società e della sua strutturazione secondo quell’impronta, un po’ maschilizzante, di stampo illuministico-razionale.
Avete colto quale sia il simbolo chiaro della resa che il virus sta certificando?
Eccolo: è la forzata rinuncia, non necessariamente temporanea, alla “stretta di mano”, autentica architrave del senso maschile dell’onore, della parola data, di un impegno che nel mondo femminile ha, in generale, declinazioni diverse e diverse sfumature che rendono il gesto in questione più duttile e flessibile. Questo avviene, nelle donne, per effetto di un pragmatismo esistenziale e terreno, quello femminile, appunto, che annacqua l’atavica irrinunciabilità di una “parola d’onore” che sembrava, nei secoli dei secoli, scolpita nella stessa pietra delle tavole dei Comandamenti consegnate dall’Onnipotente all’”uomo” Mosè!
Prendiamone atto, colleghi uomini, è finita.
E’ cioè giunto a compimento quel processo (ricordate?) che decretò l’inizio della fine (nostra) a partire dalle battaglie di genere di qualche decennio fa, quando un movimento femminista, pur non sempre lucido e non sempre autenticamente liberatorio, si coniugò in modo un po’ sommesso ma anche ‘indissolubile e malandrino, con una incipiente modernità che era sì tecnologica, ma anche, inevitabilmente, sociale e interrelazionale.
Fu proprio l’inizio di quella inarrestabile evoluzione della tecnologia informatica a immettere nella società dosi massicce di virtualità, togliendo progressivamente ad un uomo un po’ annebbiato, restio e perfino incredulo, quel “guardiamoci negli occhi” che per millenni aveva virilmente sugellato patti e accordi assecondando schemi comportamentali che rendevano di fatto deflagrante e sostanzialmente impossibile, modificare unilateralmente i fattori convenuti e stabiliti.
Quanto abbiamo detto finora, con le dovute cautele e i necessari distinguo, non corrisponde ‘tout court’, e senza modificazioni, al mondo femminile, da sempre in contatto diretto con la nascita e col pulsare della vita che non ammette rigidità ma richiede adattamento continuo, pur se sorvegliato e controllato, per mantenere l’equilibrio in perpetuo divenire fra idea e azione. Proprio questo rende la donna capace di rinnovarsi istante dopo istante senza sentirsi, in caso di ‘correzione di rotta’, un fallito o un emerito ‘quacquaraquà’ come accade per gli uomini.
Massacrato, dunque, da un virtuale che è per sua natura poco armonico con il diretto e guerresco agire maschile e che affonda le sue radici proprio nella sua essenza un po’ evanescente, e incalzato dal sacrosanto diritto femminile alla parità di genere, cioè ‘all’uno vale uno’ senza supervalutazioni del ruolo maschile, l’uomo sembra davvero aver perso anche l’ultimo suo baluardo; un uomo, peraltro, già scosso, in questo senso, dall’abolizione di fatto, in tempi non lontanissimi, del baciamano nei confronti delle donne, atto gentile e deferente nel gesto, ma fermo e tetragono nel suo significato sociale che relegava quel bacio ad un modo cavalleresco di ossequiare il ‘sesso debole’.
Per chi fosse ancora scettico rispetto alle considerazioni cui sono arrivato scrivendo questo articolo, suggerisco di riascoltare o rileggere il discorso del Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, quando si scusa con l’Italia, in modo circostanziato e diffuso, per non averne capito e recepito il ‘grido di dolore’.
Nessun uomo si sarebbe mai espresso, rivestendo quel ruolo, con quelle parole e con quella rinuncia totale ad ogni giustificazione, e questo al di là delle posizioni e delle valutazioni politiche che non riguardano queste riflessioni.
Non dissimile nei fatti è anche l’intervento del Presidente del Senato italiano, Elisabetta Casellati, che vede questa Italia in difficoltà salvata dalle donne, “più abituate”, afferma in una lunga intervista “a gestire situazioni complesse”.
Insomma, la nuova era dell’umanità è iniziata e, prendiamone atto, il virus che si chiama ‘corona’ sta decretando la salita al seggio decisionale e direttivo dell’altro “genere”.
Roberto Timelli