Molte specie animali modificano l’ambiente per adattarlo alle proprie esigenze, l’uomo lo fa in modo “importante”.
La cosa più evidente è che questa capacità è proporzionale alla sua conoscenza.
Più conosciamo il mondo, e meno ci interessa preservarlo. Siamo dei castori a cui è sfuggita di mano l’inventiva!
Che valore dare quindi all’evoluzione dell’umanità, che sembra essere inversamente proporzionale alla preservazione del proprio habitat e quindi della propria stessa conservazione? Può l’evoluzione di una specie andare “contro” sé stessa?
La spiegazione, secondo il Prof. Galimberti, è molto semplice: la capacità di modificare l’ambiente che l’uomo ha acquisito con la tecnica, è di gran lunga superiore alla sua capacità di prevederne gli effetti.
Ed anche qualora gli effetti fossero chiari, non ne ha coscienza, perché non fa in tempo a “metabolizzarli” in una sola generazione.
Solito esempio: tutti sanno che il fumo uccide, ma l’industria del tabacco fattura 764 miliardi di dollari l’anno. Non c’è coscienza della sua pericolosità perché quando uno muore per cancro ai polmoni, non può tornare indietro, e ripensarci. “Ma tanto a me non capita…“ Ecco come si comporta l’uomo nei confronti del proprio habitat: “tanto a me non capita!”.
Alla luce di questo, come possiamo definirlo “intelligente”? Se per assunto l’intelligenza è proprio la capacità di immaginare scenari futuri (come definito dalla Treccani), com’è possibile che non sia in grado di governare anche le proprie decisioni in modo sensato? Dove sta sbagliando l’evoluzione?
L’evoluzione non sbaglia, perché non è né buona né cattiva, ma solo funzionale.
Quelle strane zampette che chiamiamo intelligenza stanno rispondendo alla funzione che la natura ritiene utile al momento. E non è detto che la natura (in senso “universale” e non antropologico) ci ritenga utili per sempre.
Concludendo, io credo che l’intelligenza non sia dell’uomo, ma che l’uomo sia il mezzo attraverso il quale essa può esplicitarsi. Come la conoscenza: le cose non cominciano ad esistere quando vengono “scoperte”, ma sono sempre state lì. Tuttavia l’egocentrismo dell’uomo parla sempre di “conquiste”. (La categoria del dominio è un aspetto culturale, che mi piacerà approfondire in un altro momento).
Io ritengo più coerente affermare che ogni scoperta dell’uomo è una “concessione” dell’universo, nella naturale ed ineluttabile direzione di quest’ultimo verso l’ ENTROPIA. E questa non è una teoria, ma una sintesi scientifica.
…Ma di questo parlerò la prossima settimana.