In riferimento al mio precedente intervento sull’entropia associata alla società, in cui ho ipotizzato che proprio la democrazia sia una direzione naturale verso cui tendono tutti i conglomerati umani, vorrei ora dichiararne anche l’ineluttabile fallimento.
Certo che iniziare così la settimana. lo so… Forse dovrei scrivere sull’utilità (o meno) della mascherina, ma è così facile (ed inevitabile) trovare centinaia di colti argomentatori che si occupano delle consuetudini comportamentali del virus e dei suoi ospiti, che preferisco allietarmi su temi più leggeri, come “il fallimento della democrazia”.
Se etimologicamente il significato di democrazia è governo del popolo, è subito interessante notare che la particella “del” può essere sia del complemento di specificazione, che del complemento oggetto. Si può intendere cioè sia come il popolo che governa, che il popolo da governare. E già qui ci sarebbe da riflettere.
In ogni caso, partendo dall’accezione comune che la identifica come potere del popolo, sarò felice di esporre alcune delle argomentazioni per le quali la sua attuazione è puramente illusoria.
Per iniziare vorrei raccontare la storiella di Hotelling (Paradosso dei 2 gelatai). Immaginiamo 2 gelatai, ciascuno col proprio carretto, che debbano dividersi i clienti in un tratto di litorale di un kilometro della riviera Romagnola. La soluzione più intelligente sarebbe sicuramente quella di mettersi rispetto al centro l’uno a 250 metri a sinistra e l’altro a destra distanziati tra loro di 500 metri. In questo modo la distanza massima che i bagnanti dovrebbero fare per trovare sollievo dall’ arsura sarebbe appunto al massimo di 250 metri. Chi si trova alle estremità del litorale dovrà percorrere la stessa strada di chi si trova vicino al centro.
Questo però solo nel caso in cui i gelatai avessero a cuore i clienti. Infatti, poiché i poveri bagnanti alle estremità non avranno come scelta che procedere verso il centro per raggiungere il desiderato ghiacciolo, i due intraprendenti gelatai cominceranno a cercare di accaparrarsi sempre più i clienti della sponda opposta, avvicinandosi così tanto tra loro da arrivare ad affiancarsi, costringendo i poveracci alle estremità a percorrere il doppio della strada. Questo esempio è una semplificazione banale del fatto che per riuscire a vendere più gelati possibili (o ottenere voti) non è necessario fare gli interessi di chi li compra (o degli elettori).
Naturalmente questo non è il vero motivo per cui ritengo fallimentare la democrazia, ve ne sono altri molto più radicali e preoccupanti.
Primo fra tutti l’età degli elettori. Sono certo che sarò lapidato solo metaforicamente (Spero) ma la politica deve fare i conti coi gusti degli ultra 60enni perché rappresentano una base elettorale senza la quale non si vendono gelati, a nessuno.
Con ciò non intendo dire che i gusti dei più anziani non contino, anzi è necessario avere il massimo rispetto, ma contano meno in quanto a propensione a provare gusti nuovi. Il professor Galimberti, oramai non più giovanissimo anche lui, spesso afferma che i “i vecchi non sono saggi, ma hanno perso semplicemente l’aggressività che la natura ci da per la protezione della prole”, in realtà più si invecchia e più si diventa abitudinari, e tutto ciò che “turba” le routine è fonte di stress e tenuto a debita distanza. E’ palese quindi che se demandiamo alle persone “non più giovani” le scelte politiche per il futuro, direi che non arriveremo molto lontano.
Il motto uno vale uno
è considerato universalmente corretto, ma io credo sia la svista più clamorosa
della democrazia, tanto che persino Einstein ne dichiarerebbe l’inconfutabile
relativismo.
Il voto di un giovane ventenne non vale quanto quello di un ottantenne. Non in
termini qualitativi, non per me.
Tuttavia, in perfetto
accordo con la relatività devo dire che le eccezioni non mancano.
Ho la fortuna di vivere indirettamente le gesta di un imprenditore (oramai
anziano) a capo di un’azienda divenuta fra le più ricche del mondo e il suo
approccio è sempre stato: pragmatismo, lungimiranza e voglia di provare gusti
nuovi.
Quando una linea produttiva diventava inefficiente si accollava senza timore il
costo della nuova, perché solo con l’incremento di produttività avrebbe
mantenuto la leadership nel mercato e potuto sostenere la passività di quanto
dismesso e letteralmente abbandonato in vecchi capannoni. Questa politica è
possibile perché in quella realtà non vige democrazia ma visione d’insieme.
Se si fosse chiesto di votare a tutti gli operai per il mantenimento delle
vecchie attrezzature conosciute e padroneggiate per anni, o per riconfigurare
invece tutte le linee con nuove tecnologie, probabilmente dopo qualche tempo sarebbe
stata aperta la trattativa coi sindacati per la cassa integrazione di centinaia
di operai espertissimi nell’uso di macchinari vecchi.
Con questo non intendo dire che sia auspicabile una dittatura, ma di sicuro con
la democrazia ignorante si faranno solo scelte ignoranti.
Oramai la politica non ha più alcuna base ideologica, è diventata solamente un
affare di come vendere più gelati possibile per potersi concedere un’altra stagione
e un’altra ancora, senza rischiare troppo con gusti pericolosamente nuovi.
Arrivo ora ad un altro
motivo per cui trovo la democrazia fallimentare.
Accettando per buono il principio secondo cui io ho diritto di esprimere le mie
opinioni e prendere posizioni, va da sé che dovrei avere tutte le informazioni
e le conoscenze necessarie affinché si tratti di un’opinione “fondata”. Se
chiedessi ad un teologo di firmare i calcoli statici per la costruzione di un
palazzo di 40 piani, probabilmente otterrei degli ottimi consigli su come
affidarmi alla misericordia divina a seguito del mio contributo alla perdita di
vite innocenti. Ma non avrei fatto un gran buon servizio alla comunità.
Allo stesso modo, è ipocrita ed ingiusto pensare che un comune cittadino abbia
una precisa idea di cosa comporti una scelta come quella nucleare (per fare un
esempio) senza avere alcuna nozione specifica su tutto ciò che essa comporta. E
quindi la decisione non si prende a ragion veduta, ma per fascinazione o
per identità politica o religiosa, o perché quello mi piace come parla. La
democrazia diventa un tragico esercizio decisionale in cui non conta scegliere
bene (secondo coscienza), ma avere l’impressione di aver scelto.
Giunti a questo punto, piuttosto di una finta democrazia fallimentare ma umanizzata, preferirei mille volte una lungimirante, anche se spietata, oligarchia di bit senza sentimenti o pulsioni, e per questo incorruttibile. E se qualcuno ha il coraggio di dirmi che un computer non ha umanità, vorrei che mi rispondesse con quale umanità il genere umano ha dato inizio a guerre mondiali, ad assassinii di massa, e devastazione del pianeta.
Senza dimenticare l’esito del voto con cui il popolo ha dato il meglio di sé, scegliendo Barabba.
Un paio di cose:
a) io dico che il computer non ha umanità. E lo affermo proprio perchè il computer non consentirebbe guerre mondiali, assassini di massa e devastazione del pianeta. Non puoi escludere però che il computer, per determinare le condizioni ideali perchè gli uomini convivano pacificamente, ognuno secondo le proprie inclinazioni e desideri (questo è il senso della democrazia), produca una massa di individui privati della possibilità di errore (che è il vero significato della libertà).
b) Barabba: se consideriamo la questione dalla parte dei credenti, Dio ha condizionato il voto del popolo, perchè se avessero scelto il biondo, l’umanità non avrebbe avuto Cristo in Croce e Dio sarebbe rimasto senza il Messia. Se consideriamo la votazione dalla parte degli uomini quel giorno chiamati al voto, la maggioranza di loro, fomentata da qualche gelataio, condizionata se vuoi, ha scelto opportunamente per quello dei due che garantiva un maggiore successo alla causa ebraica. La tradizione ci tramanda Barabba come un fuorilegge, in realtà era un capo rivolta, personaggio di grande carisma che catalizzava i giovani contro l’occupazione dei Romani. Insomma una figura più vicina al Messia dei Profeti di quanto non fosse Gesù che addirittura postulava “date a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio”.
Insomma, l’umanità si barcamena da sempre tra verità sempre mutevoli, in un processo che vede centrale la libertà di compiere errori. Io desidero che la razza umana non sia puntellata a forza su questo pianeta da un computer che regola i minuti di ognuno e che la Terra abbia la possibilità di provvedere alla sua estinzione, se gli uomini continueranno a non saper votare.
Credo che tu abbia centrato il punto meglio di me. Nel senso che consideri la democrazia come garanzia di poter sbagliare. E’ un passaggio importante che io ho colpevolmente tralasciato. Tuttavia continuo a ritenere che l’obiettivo principale sia quello di consentire le scelte migliori, prima ancora di poterle fare. Affinché si possa chiamare libertà, non basta avere in mano una chiave per evadere dalla prigione, è necessario che sia quella giusta e soprattutto di volerla usare. Riguardo alle scelte infelici, non le ritengo negative a priori, se creano coscienza. E’ un processo evolutivo. Il problema nasce quando l’evoluzione non trova soluzioni. Quindi arrivando alla tua efficace immagine dell’umanità puntellata, sono d’accordo con la soluzione plausibile dell’estinzione dell’uomo, poichè non lo considero al vertice della piramide naturale, ma uno stadio intermedio. Siamo il mezzo attraverso cui l’intelligenza potrà continuare il suo cammino evolutivo, senza per questo essere (come specie) necessariamente indispensabili in futuro.