La verità è un processo che non ha mai fine. Come ogni cosa, anch’essa è soggetta al tempo. Sembra proprio che tutto nell’universo abbia una data di scadenza. Tuttavia è un’esigenza primaria per l’umanità costruire delle certezze: sono ripari sicuri, che proprio grazie alla loro stessa granitica resistenza, ci aiutano ad affrontare tutte le incertezze che la vita ci riserva. Esse si rafforzano con gli anni, strato dopo strato, rendendoci sempre meno propensi al cambiamento. Cambiare significa uscire fuori da quel riparo costruito con tanta fatica. Ecco perché i giovani sono molto più aperti alle novità: prendono tutto addosso senza alcuna protezione e senza nulla da perdere. Beata gioventù. Invece di additare l’incoscienza di un giovane a cui rimproveriamo di non sapere cosa sia la vita, cerchiamo di insegnargli come affrontare il dolore e come rialzarsi, senza cedere all’impulso di offrirgli il nostro riparo, diventerebbe una prigione. Sicura, ma pur sempre una prigione.
Tutto ciò che è vero per noi, è vero solo per noi, perché non vediamo mai le cose per quello che sono, ma per quello che siamo, o siamo stati. E anche noi, come ogni verità, abbiamo una scadenza.
Il dramma per i miei coetanei che veleggiano in prossimità della boa dei 50 anni è che il mare è molto più agitato di quanto non lo sia mai stato prima. Ma non si tratta semplicemente di una tempesta improvvisa, sta cambiando tutto. Le regole che garantivano una navigazione sicura non valgono più. In questo momento ci sono solo 2 soluzioni: o continuiamo a maledire Poseidone, continuando a manovrare come abbiamo sempre fatto, oppure cerchiamo di capire cosa stia succedendo per restare a galla.
Io, per esempio, sto facendo una fatica improba a non considerare “fuori luogo” tutte le scene omosessuali inserite in ogni dove. Dalle pubblicità alle serie TV. Non ne sento il bisogno. Ma il problema sono io! Continuo a ripetermelo e a rimproverarmi in silenzio. È evidente, perché le stesse scene passano completamente inosservate ai più giovani. Alcuni (di noi) pensano che è proprio questo il problema, e cioè che stiamo de-moralizzando le nuove generazioni: NO! La morale è figlia dei tempi, ed ha una scadenza come ogni altra presunta verità.
La deriva pericolosissima di questo ipotetico lassismo culturale non è certo nella distruzione delle etichette che stanno crollando, rendendo molto più difficile la decodifica del nostro mondo che pretendiamo di conoscere. Il pericolo è altrove e continuo a ripetermelo. Il pericolo è l’incapacità di comprendere i sentimenti. Si insegna di tutto, ma i sentimenti sembrano debbano essere delegati all’individuo. Così accade che in una società che premia solo l’efficienza come unico parametro valutativo, nessuno si prenda la briga di insegnare i sentimenti. Così i giovani pur non avendo bias cognitivi, e per questo molta più flessibilità nella lettura della realtà, hanno il vantaggio di non pre-giudicarla, ma spesso mancano degli strumenti per decodificarla, ed elaborarla. Questo è il dramma.
Noi abbiamo il giudizio formato e granitico che semplicemente ci rende inaccettabile ciò che non comprendiamo. I giovani no. Loro vedono, ma spesso non riescono a capire. Non a caso i suicidi sono la seconda causa di morte fra i 10 e 25 anni in Italia. La cosa mi spaventa molto perché sono convinto che per un ragazzo/a che arriva ad uccidersi, ce ne sono almeno 5 che non ne hanno avuto il coraggio, e molti di più che ci hanno pensato. E tutte queste persone sono la generazione di domani. Una generazione psicologicamente debole, che porta in dote sofferenze e fragilità così profonde che probabilmente avrà come unico obbiettivo quello di proteggersi, che scelte farà per il futuro?
È ciò che è successo a noi (vecchi) con l’ambiente. Non l’abbiamo metabolizzato a dovere perché non era un nostro problema e guardate che casino abbiamo combinato. Lo è invece per i giovani di oggi perché lo stanno vivendo ora, nel periodo della vita in cui si strutturano i sentimenti. La sensibilità si forma in base a ciò che si vive. Ma se da un lato essere in grado di vedere un problema è il primo passo per risolverlo, dall’altro non avere soluzioni disponibili crea un senso di inadeguatezza che aggiunge un altro problema al precedente.
Ma allora che facciamo? Da un lato ci siamo noi, una generazione di vecchi miopi che però hanno una spina dorsale forte di un’esperienza di vita che però non serve a nulla alla nuova generazione che, dall’altro lato, ha invece una vista perfetta ma una schiena fragile, priva di tutti i “comandamenti” che hanno forgiato le nostre anime. Non ho scritto comandamenti a caso. Anche restando profondamente critico nei confronti della religione, devo convenire che la graduale perdita di importanza della Chiesa come collante fra i giovani, non è stata compensata da nessuna forma alternativa di educazione dell’anima, lasciando così che la società civile abdicasse dal suo ruolo primario che non è quello di forgiare cittadini, ma prima di tutto: uomini e donne.
Fa tutta la differenza del mondo. È come obbligare qualcuno a non inquinare per non pagare una multa, o insegnare, invece, che l’ambiente non è tuo. Fino a quando cercheremo le soluzioni per legge, troveremo solo altre etichette per decodificare tutto senza fatica, scagliandoci (solo ideologicamente) contro di esse.
Siamo in preda ad una schizofrenia endemica, come le malattie auto-immuni di cui siamo spesso vittime inconsapevoli. E purtroppo sentiamo la necessità essere una possibile soluzione per ciò di cui invece siamo stati sicuramente la causa.