Angelo Radici è presidente dell’omonima multinazionale nata 75 anni fa a Gandino, a 26 chilometri da Bergamo. La RadiciGroup rappresenta uno dei tanti miracoli della provincia più colpita dalla pandemia e caratterizzata da una imprenditoria vitalissima. E’ proprio in cima a una valle che è sorto questo colosso della chimica, tecnopolimeri e fibre sintetiche con 1,2 miliardi di euro di fatturato, 3100 dipendenti, presenza in 16 Paesi e 24 sedi produttive.
Ma lasciamo la parola al capitano di un’azienda in prima linea nel fronteggiare l’emergenza.
Le imprese di Bergamo hanno creato tante alleanze per far fronte al Covid-19. Questo spirito sinergico si respirava anche prima della pandemia o è stata l’emergenza a innescarlo?
Penso che il legame con il nostro territorio e il senso di appartenenza alla comunità siano tratti che da sempre ci caratterizzano. Le difficoltà del momento hanno fatto emergere in maniera ancora più evidente questi aspetti, come testimoniato dalle diverse iniziative di solidarietà messe in campo in modo rapido ed efficace. Il grande vantaggio è stato il poter disporre di competenze a livello locale. E’ stato sufficiente attivarci telefonicamente per trovare aziende disposte a fare squadra, con la consapevolezza di collaborare tra imprenditori “amici”.
Da questa disgrazia potrebbero nascere nuove filiere produttive?
Anche dalle situazioni più difficili si possono trarre lezioni positive. Sicuramente il periodo che stiamo vivendo ha costituito un prezioso banco di prova che ha gettato le basi per sinergie importanti che varrebbe la pena coltivare anche nel dopo pandemia. Come RadiciGroup, in questa fase abbiamo dato vita a una filiera totalmente nuova per la realizzazione di dispositivi di protezione certificati e camici per ospedali cercando di sopperire alla grande mancanza di questa produzione in Italia. L’auspicio per il futuro è che si comprenda che alcune filiere sono indispensabili a livello nazionale. Per far ripartire l’economia del territorio, ma in generale quella di tutto il Paese, c’è bisogno del contributo di tutti, mettendo a frutto competenze e opportunità.
Quali sono i timori e le speranze dell’imprenditoria bergamasca?
Siamo consapevoli che, da qui in avanti, ci aspettano mesi difficili, e mi riferisco non solo alla nostra area, ma ovviamente all’intero Paese. Noi imprenditori faremo tutto il possibile per affrontare al meglio la situazione, ma il sostegno di tutti gli stakeholder – associazioni industriali, business Community, istituzioni italiane ed europee, comunità locali – sarà fondamentale. Il tempo per tornare alla normalità, ma che probabilmente sarà una “nuova” normalità, sarà lungo. Oggi il contatto con il singolo cliente è reso più difficile dalla situazione e non può più basarsi su uno sguardo e una stretta di mano. In Italia alcune filiere sono state interrotte e con la ripartenza ci vorrà tempo per recuperare, anche perché alcuni clienti nel frattempo potrebbero essere andati altrove a soddisfare le proprie esigenze.
Bergamo potrebbe essere una delle ultime aree italiane a tornare a pieno regime. La spaventa?
Stiamo vivendo un’emergenza senza precedenti, per cui è necessario adottare misure straordinarie. Si stanno già facendo riflessioni a livello di Sistema Paese e regionale, sia a breve termine che nel medio-lungo periodo, anche se per il momento non è stato ancora definito un percorso dettagliato e univoco per ripartire. Noi ci affidiamo a chi ha le competenze per decidere nel migliore dei modi e, soprattutto, nell’interesse di tutti, offrendo il nostro pieno supporto. Al nostro interno ci siamo organizzati fin dall’inizio dell’emergenza: laddove possibile, come ad esempio per gli impiegati, abbiamo attivato la modalità smartworking. Per gli operai e per tutte le persone che devono entrare in azienda, invece, è stata prevista l’adozione di tutti i DPI e di misure cautelative e anti-assembramento, in conformità a quanto previsto dal protocollo nazionale di sicurezza per la tutela dei lavoratori.
I bergamaschi hanno vissuto con grande dignità la tragedia. Tutti ne hanno lodato la reattività, quel mai alzare la voce, nessun gesto plateale. Bene. Però con questo silenzio, non si corre il rischio di essere poi dimenticati in un Paese dove s’impone chi urla di più?
Una cosa è certa: a Bergamo siamo abituati ad agire, a sviluppare imprese più che a raccontare al mondo le nostre qualità. Siamo industriali più che comunicatori, in un modo dove la comunicazione è diventata sempre più importante. Bergamo e la sua provincia sono state colpite da questo virus in maniera molto aggressiva. Tutti noi siamo stati toccati dalla morte, dalla paura e dall’incertezza. Ma c’è una cosa che questo virus non annienterà mai in noi bergamaschi: la voglia di reagire. Sono orgoglioso di essere bergamasco, un popolo a cui non interessano le chiacchiere ma i fatti. Grazie ai fatti, oggi il nostro territorio ha tante filiere e rappresenta un centro strategico nel tessuto economico nazionale. Faremo il possibile per confermare il nostro ruolo con determinazione anche dopo la crisi.
Che impatto sta avendo la crisi da coronavirus sulla vostra azienda? Che piani avete per uscirne?
In queste settimane, grazie alla collaborazione di tutti, abbiamo riorganizzato turni, pause e modalità operative in tutte le aziende. Molte sono state chiuse per alcune settimane, con l’obiettivo di sanificare tutti gli ambienti e avere tempo per attrezzarsi di tutti i DPI. Ora stiamo lavorando dotati dei sistemi di protezione, ma anche più consapevoli e responsabili per la nostra salute e quella dei colleghi in conformità ai protocolli di sicurezza concordati tra le parti sociali. Non abbasseremo la guardia e continueremo in questa direzione.
Detto questo, il nostro “tessuto non tessuto” – che solitamente era destinato a mercati che richiedono elevate performance come automotive, edilizia e agricoltura – è diventato un elemento fondamentale proprio per produrre dispositivi di protezione per il personale sanitario. Abbiamo messo in piedi una filiera locale certificata per la produzione di camici, calzari, copricapo (progetto WeCare) e abbiamo contribuito con il nostro prodotto anche al progetto di Confindustria Bergamo per la realizzazione di mascherine chirurgiche. L’area di business High Performance Polymers sta mettendo a disposizione (gratuita) le sue competenze e i suoi materiali per la stampa 3D di supporti per l’ossigenazione dei pazienti e per la stampa a iniezione di dispositivi di protezione dei medici. L’area di Business delle fibre con i suoi filati in nylon o poliestere è in grado di fornire la materia prima necessaria a confezionare tutto ciò che serve al settore igienico sanitario: una filiera integrata verticalmente, totalmente europea e che risponde ai requisiti normativi più stringenti. Tutto il gruppo si è messo a disposizione per combattere l’emergenza legata a questo terribile virus.
RadiciGroup opera in tre Continenti. Come cambiano gli scenari post-Covid a seconda del Paese? Se dovesse fare un confronto fra le prospettive per le vostre aziende in Cina e qui in Italia?
I nostri numeri ci confermano che la ripresa in Cina è in corso e le prospettive sono buone. Per quanto riguarda il mercato automotive, per esempio, le ripercussioni nel breve termine dovute al calo delle esportazioni dalla Cina verso Europa e USA non dovrebbero avere un impatto significativo per noi. Per i mercati in cui operiamo, la Cina non è più la “fabbrica del mondo”, ma assorbe i nostri prodotti prevalentemente per il mercato interno. D’altro canto l’obiettivo che abbiamo perseguito nel costruire la nostra presenza nel mondo è sempre stato quello di produrre in un paese per servire il mercato regionale.
Viceversa l’Italia è parte fondamentale della supply chain europea. L’Europa è ferma, quasi totalmente concentrata nel contenere e debellare il virus. Noi non abbiamo dovuto fermare i nostri stabilimenti, ma chiaramente nelle prossime settimane, nei prossimi mesi si giocherà una partita fondamentale che avrà come obiettivo restituire la fiducia nel futuro, e creare le condizioni per la ripresa in Europa, e aggiungerei anche in America. Riteniamo che ci vorranno due-tre anni per raggiungere le aspettative di crescita inizialmente attese per il 2020. Probabilmente ne usciremo con catene di fornitura più regionali, ma la proiezione globale delle aziende continuerà ad avere un ruolo decisivo per la crescita a lungo termine.
Medicine per lenire le ferite dell’economia italiana dopo il Covid. Si auspica una sburocratizzazione, snellimento delle operazioni, sministerializzazione… Lei cosa propone?
Penso che, una volta superata questa emergenza, molte cose cambieranno, in tutti i settori. Auspico che questo momento di grande difficoltà fornirà l’occasione per ripensare determinati modelli e strutture anche nell’ottica di una minore burocrazia e di una maggiore flessibilità. Molte delle cose incredibili che sono state fatte in questo momento, e che ci hanno anche coinvolto direttamente, sono state portate a termine velocemente: sto pensando ad esempio alla realizzazione dell’ospedale da campo che l’Associazione Nazionale degli Alpini ha costruito negli spazi della Fiera di Bergamo, o alle filiere che si sono attivate per produrre camici e mascherine.
(Fonte: Forbes, Piera Anna Franini, 6 Maggio, 2020)