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Gli italiani e il ciclone ‘Pandemia’

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La pandemia di Covid-19 ha avuto un tremendo impatto sulle abitudini e sugli usi di tutti gli italiani. Dalla fine di febbraio ad oggi, gli italiani si sono visti costretti a limitarsi fortemente negli spostamenti e a bloccare il motore economico del Paese da parte delle Istituzioni per fare fronte ad una delle più gravi crisi sanitarie dal dopoguerra ad oggi.

In questo periodo di quarantena i cittadini si sono dovuti scontrare con una realtà del tutto nuova che ha stravolto dalle fondamenta gesti ed azioni quotidiane. Si pensi solo alle ore passate dentro le mura casalinghe negli ultimi due mesi comparate a quelle di soli tre mesi fa, ma anche ai cambiamenti politici, con il Parlamento pressoché fermo e l’azione politica lasciata (quasi) esclusivamente nelle mani del Governo.

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La pandemia rappresenta a tutt’oggi quella che sociologi e politologi definirebbero una giuntura critica, ovverosia un punto di svolta epocale che traccia (e traccerà) per forza di cose un solco tra il “prima” e il “dopo” (che ci auguriamo possa arrivare quanto prima). In tutte le giunture critiche, la politica non scompare, anzi assume una maggior centralità, anche in confronto ad altre forze (come quelle economiche) che negli stati capitalistici avrebbero ben altra preminenza.

Le restrizioni imposte in seguito alla diffusione della pandemia da COVID-19 hanno senz’altro ridotti gli spazi di socialità, costringendo milioni di persone in casa. Gli effetti di queste misure dal punto di vista sanitario ed economico emergono ormai con una crescente chiarezza. Meno conosciuti sono tuttavia gli effetti sulla sfera emotiva degli individui. La rottura di quei rituali sociali che agiscono come collanti di un tessuto sociale e che creano reti di contatto (la banalissima cena con gli amici o la frequentazione della palestra che alimentano una identità di gruppo) possono infatti avere conseguenze non irrilevanti sulla percezione individuale di appartenenza ad un gruppo sociale (il sentirsi parte di una comunità). Una delle manifestazioni più evidenti di una perdita di ancoraggio sociale è da ritrovarsi probabilmente nella acuta percezione individuale di solitudine, di alienazione dalla società e dalle sue strutture. Per quanto necessarie alla tutela della salute fisica delle persone, le misure di contenimento e le restrizioni alle attività sia lavorative che ricreative imposte dall’emergenza sanitaria, potrebbero aver generato ripercussioni rilevanti tanto sulla sfera che riguarda il benessere individuale della persona, quanto sulla percezione di integrazione sociale.

Il tema dell’incertezza economica e dell’insicurezza apre un ulteriore interrogativo. La crisi dell’economia italiana a seguito dell’emergenza sanitaria è stata ampiamente annunciata, ma le sue dinamiche sono tutt’altro che chiare. In ballo ci sono le misure che il Governo deciderà di adottare, la stessa stabilità dell’attuale compagine governativa e della sua conseguente capacità di guidare il Paese nei prossimi mesi, nonché le difficili negoziazioni con gli altri partners europei e con le istituzioni dell’UE.

Nonostante il clamore dei fenomeni espressivi di comune appartenenza e di reciproca solidarietà (gli ormai celebri canti dai balconi), esiste una quota rilevante di cittadini che in realtà si sente più isolata che in passato. Una percezione di abbandono e di isolamento che colpisce tra l’altro gruppi sociali già fragili (come giovani e anziani), gruppi che la crisi del Coronavirus potrebbe contribuire a marginalizzare ancora di più. Accanto, dunque, alla crisi economica che colpirà trasversalmente tutti i cittadini, si affaccia anche una crisi sociale che ha a che fare con la tenuta di un senso di comunità e di appartenenza, che al di là della retorica, potrebbe essere seriamente minato, amplificando diseguaglianze già da molto tempo radicate nella nostra società.

Ilaria Gervasio

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