Terzo appuntamento della rubrica del dott. Massimo Converso, neuro psicomotricista e fisioterapista
“Le nostre routine”
Dopo aver parlato dell’accoglienza e della necessità di condividere il percorso terapeutico (condivisione di intenti tra terapista-genitore e l’attuazione di interventi durante il setting e a casa), in questa terza rubrica dedicata sempre al “conoscersi meglio” darò dei cenni sulla nostra routine terapeutica e su quella da proporre a casa.
Nel mio quotidiano lavoro di terapista l’”organizzazione” di una “routine” attesa e prevista, costituisce quasi sempre una cornice rassicurante per i miei piccoli pazienti.
Ciò, può essere facilmente intuibile e condivisibile dai genitori/adulto, basti pensare /sapere che tutti gli eventi significativi e ripetuti rappresentano per i bambini i primi riferimenti sicuri a cui appoggiarsi.
L’iniziale routine terapeutica che propongo ai miei bambini, può essere paragonata ad un “copione”, sulla base del quale poi, i bambini riescono progressivamente a “costruire” il loro mondo e “inseriscono” le loro conoscenze.
Dal ripetersi di “determinati” gesti, i bambini riescono da subito a cogliere il senso del prima e del dopo e piano piano quasi per “magia” imparano ad anticipare gli eventi e riescono a “collocare” la propria vita in un’ottica di tempo. Non è dunque casuale che nelle mie routine terapeutiche, io dia ampio spazio all’imparare/apprendere, prendendo spunto dalle esperienze ricorrenti nel quotidiano (che il genitore mi racconta) del bambino.
Una delle iniziali cose che faccio è quello di spiegare ai genitori che l’aspetto “cognitivo” e la “logica” sono in primis “dentro le regole” di vita quotidiana (le routine del bambino a casa non rappresentano momenti fini a sé stessi, attribuendo loro, solo ed esclusivamente un generico valore educativo (ad es. apprendere delle regole/buone abitudini) ma devono essere viste in un’ottica più ampia, dove ci sono tante implicazioni su altri piani/aspetti.
Nelle mie iniziali routine terapeutiche, insegnare al bambino a saper mettere il giubbino o le scarpe al posto giusto (stabilito) non significa solo essere riuscito a fargli acquisire una buona abitudine/norma, ma significa soprattutto essere riuscito a fargli acquisire la capacità di orientarsi (nuovo ambiente); di trovare degli stabili punti di riferimento; di essere riuscito a fargli acquisire la capacità di memorizzare e saper riconoscere; di saper ricercare il modo giusto affinché “quel giubbino” rimanga appeso e non cada dal sostegno.
Quanto detto, ha davvero un grande significato…”vuol dire” “risolvere problemi” (problem solving) relativi allo spazio e alla percezione delle forme e dei colori.
In qualità di neuro psicomotricista sono fortemente “convinto” di quante possibilità di apprendimento tutti i vari momenti di vita e i vari momenti di terapia, siano in grado di offrire quotidianamente al bambino, ed è proprio per questo che dobbiamo aver cura (terapista, genitori e tutte le figure che ruotano intorno al bambino) di sfruttare queste possibilità.
Se le routine terapeutiche con i miei bimbi vengono vissute con consapevolezza, attenzione, curiosità, mi aiutano significativamente fin da subito a raggiungere i primi obiettivi/finalità (come ad es. la maturazione dell’identità; la conquista dell’autonomia; lo sviluppo delle varie competenze).
Ai suoi primissimi ingressi in terapia il bambino lascia il suo ambiente familiare per entrare (in quello terapeutico/educativo) in un ambiente nuovo, dove trova un adulto (terapista) estraneo e dove il tempo e lo spazio seguono soprattutto all’inizio regole diverse da quelle quotidiane a casa.
Ciò che dà un senso all’organizzazione del “nostro tempo e del nostro spazio” in terapia, è ciò che io definisco “clima accogliente e delicato”. Questo clima è appunto garantito:
1- Dalla pre-organizzazione del tempo;
2- Dalla predisposizione degli spazi (stanza di terapia);
ma non è la semplice somma di questi due fattori. Ovviamente ci vuole tempo affinché il bambino “interiorizzi e assapori” questo “clima”; ci vuole tempo affinché quel bambino “qualsiasi” diventi il tuo “amico” e solo con il tempo riesco (come terapista) a capire quando posso:
-“chiedere o aspettare”;
-se “insistere o attendere”;
diversificando i miei atteggiamenti a seconda del bambino che mi ritrovo davanti.