Settore vitivinicolo, lo sprone per l’Italia
che non c’è o che ci fa!
“In vino veritas!”
Ecco, prendendo spunto, proprio da questo antico detto, possiamo proporre una significativa riflessione con la speranza che si trasformi, nell’attuale e drammatico momento storico e sociale, anche in un fondamentale auspicio: chela forza e le “verità” incoraggianti ed entusiasmanti del nostro straordinario comparto vitivinicolo facciano da indicatore e da esempio per la guida economica e produttiva dell’intero Paese.
Paese, va detto, che ha bisogno più che mai delle sue riconosciute doti di inventiva, di applicazione, di collaborazione e di visione del futuro per poter uscire dalle “aride” e infruttuose “secche” in cui si sta dibattendo, soprattutto dopo le devastazioni che sta operando, negli uomini e nelle ‘cose’, la pandemia tutt’ora in corso.
Sono ormai finiti i “bei tempi”, se mai ci siano stati, di un apparato produttivo nazionale rivolto alle grandi produzioni in serie; l’Italia è, e sarà sempre di più, un Paese di “piccoli e grandi” artigiani che, come accade nell’euforizzante mondo della vitivinicoltura, sono capaci di sintetizzare magistralmente i pregi del territorio in cui vivono coniugandoli con una illuminata e geniale applicazione che l’intuito rende pregevole nei risultati di prodotto e di mercato.
Prendiamo dunque come modello questo settore che oltre a costituire l’ideale complemento della ricchissima tradizione culinaria italiana, unica nel mondo, è anche lo specchio più vero e fedele delle capacità e delle inclinazioni imprenditoriali del nostro Paese, in grado di offrire, nell’estrema molteplicità di sfumature produttive e creative che caratterizzano il territorio italiano, l’unicità inarrivabile dei risultati ottenuti.
Dio salvi l’Italia dai burocrati senz’anima e dagli opportunismi ideologici della politica che senza una visione oggettiva e corretta delle realtà del nostro Paese, inseguono modelli, non solo economici, estranei e inadatti al nostro tessuto sociale, produttivo e imprenditoriale.
Basta viaggiare nel nostro territorio con occhi e spirito aperti per comprendere come “tutto” sia già magicamente presente e delineato, purché non si distrugga ma ci si impegni a conservare, oltre che valorizzare, quell’unicum che gli abitanti della penisola sono sempre stati capaci di rendere vivo e concreto.
Cin Cin, dunque, con la viva speranza che le “veritas” liberate dal nostro buon vino liberino anche le menti, spesso confuse, di chi ci governa.
Roberto Timelli