Quando tutti hanno le risposte giuste, sono le domande ad essere sbagliate.
Chiunque dia giudizi sulla situazione afgana pecca 2 volte.
Primo di presunzione. La stessa che rende tutti virologi o commissari tecnici in egual misura, dipendendo dall’interlocutore, o dal bar.
Soprattutto in un mondo dove puoi trovare milioni di persone che credono che la terra sia piatta, o negano il Big bang perché in antitesi con i dogmi religiosi, qualcuno che ti ascolta lo trovi sempre.
Il secondo peccato è la mancanza di umanità o compassione. Quando si tratta di vite umane, ogni altro aspetto dovrebbe risultare secondario e spesso ce lo dimentichiamo.
Detto questo, poiché siamo tutti peccatori (e non mi riferisco al significato religioso del termine), è normale avere delle opinioni al riguardo. Naturalmente vale anche per me.
Io ho avuto la fortuna di viaggiare molto e di incrociare personalmente molte altre culture. Non nascondo, e chi mi conosce lo sa bene, che ho manifestato più volte la mia netta contrapposizione con alcune di esse, ma è altrettanto vero che ho sempre cercato di fare l’ospite garbato, ovunque mi recassi, perché saper essere un buon ospite, è parte integrante della mia (nostra?) cultura.
La mamma si raccomandava sempre: sii educato.
Ed ecco il punto cruciale: ci dimentichiamo spesso che per arrivare qui, a questa “educazione”, abbiamo fatto un percorso durato 1000 anni, e abbiamo potuto o dovuto vivere la rivoluzione francese, la caduta del nazismo, la nascita della repubblica, le conquiste sociali. Siamo passati attraverso l’umanesimo, il rinascimento, l’illuminismo. È stato un processo lento, e anche sofferto. Ogni nascita passa attraverso la sofferenza e attraverso il tempo. Vale per tutto. Il cambiamento richiede energia e tempo. Prima si formano le coscienze, e solo successivamente si proteggono con le leggi. Diversamente sarebbe come scrivere le formule di un fenomeno fisico che non si è ancora scoperto o sperimentato.
Quindi, se da un lato sono veramente e umanamente triste per il futuro degli afgani, dall’altro non posso che pensare che fosse una missione con poche speranze. Un presidio armato non educa, al massimo protegge chi aiuta il processo di autodeterminazione. Avrebbero potuto spendere meglio le risorse, questo è certo, ma non commettiamo l’errore di giudicare i fatti al di fuori dal tempo e dal contesto. Un talebano che vive da nomade nel deserto che conosce solo i dettami del corano, per come glieli hanno sempre raccontati, che frusta la moglie, non è peggiore di un inquisitore che andava bruciando streghe in nome di Dio. Infatti nel secondo caso, si presume che il prelato fosse addirittura più colto e con una consapevolezza molto più profonda delle proprie azioni.
La responsabilità dell’incomunicabilità o dell’ignoranza, è di chi non la combatte, non degli ignoranti. Anche la botte di rovere più pregiata non produrrà alcun vino se non viene riempita e custodita a dovere. E di sicuro non può riempirsi da sola. Nessuno può sapere quanto sia ignorante fino a quando non incontra qualcuno meno ignorante di lui: si tratta di saper utilizzare il principio dei vasi comunicanti.
L’ Europa è stata un crocevia di popoli, di correnti, di contaminazioni. Nell’Islam il processo iniziato con la “primavera araba” è stato solo il primo vagito di un neonato che gattona incerto. Non sa ancora camminare, e non è opportuno mettergli a disposizione una macchina per sperare di vederlo scorrazzare allegro e spensierato, col gomito fuori dal finestrino.
Ed invece sento qualcuno che blatera dicendo che sono passati 1000 anni. Sì per noi. Sei mai andato in Afganistan, o anche solo in Arabia? E non parlo del deserto afgano. Parlo di Gedda, o Riyad? No?
Io non vivo lì e non conosco che le sensazioni che ho provato, ma se anche tu avessi respirato quella cultura, capiresti che c’è bisogno di tempo e di fatica.
Oggi, ogni cambiamento è reso sicuramente più veloce di quanto non sia stato nel medio evo, e questo non è necessariamente un bene, ma comunque ci vuole tempo. Noi stessi ci stiamo mettendo una generazione per accettare i diritti lgbt, e pretendiamo che gli altri facciano un salto di secoli in 20 anni?
Quindi in conclusione se dovessi tirare le somme, pur nella mia assoluta consapevolezza di essere viziato nei pensieri e prigioniero, tanto quanto i fondamentalisti, di altrettanti pregiudizi, (anche se diametralmente opposti), direi che l’unica via sia la conquista della propria dignità come popolo.
Il processo è già in atto e grazie alla facilità con cui possono arrivare le informazioni oggi, i giovani afgani potranno scegliere e combattere per i valori che sentiranno come propri, non necessariamente per i nostri. Rimango infatti dell’idea che la nostra società non possa auto-proclamarsi come risultato migliore auspicabile e definitivo, ma come terreno di studio per limitare le derive che con essa stiamo pagando e continueremo a pagare in futuro.
L’ inciviltà altrui non si misura con la civiltà propria, ma con la capacità di non produrre “scarti”. Lo stiamo capendo ora con le energie rinnovabili, ma fatichiamo a pensarlo anche per gli uomini.
È sicuramente un argomento complesso che tocca i cardini stessi della filosofia e meriterebbe riflessioni approfondite. Semplificando, il mio pensiero si riassume con una sorta di allegoria in cui l’ ETICA è il sole: indispensabile alla vita per il suo calore, ma così accecante da non poter essere osservato direttamente. È necessario utilizzare dei filtri molto scuri per poterne scorgere i contorni. Così l’uomo crea la MORALE. Un filtro, uno strumento figlio dei tempi che muta con essi financo a diventare il più sofisticato cannocchiale astronomico, ma sempre con un filtro davanti. E crediamo di poter vedere il sole, ma confondiamo la possibilità di guardare con la libertà di vedere.
E questa libertà, per sua stessa accezione, non può mai essere imposta, proprio perché potrebbe accecare.