In un tempo come quello attuale, devastato e reso incerto da un nemico tanto piccolo e invisibile quanto subdolo e pericoloso, sto alludendo al Covid-19, l’attenzione di tutti si concentra, e per ovvi e giusti motivi, sulla scienza, cioè sullo studio di sé e del mondo che l’uomo, nel corso di millenni e di pazienti ricerche, ha elaborato, non senza insuccessi e fatiche alternati a grandi intuizioni.
E’ sotto gli occhi di tutti, in questi giorni, la gravità e la complessità di una situazione sociale che ci chiede di rispettare pesanti e demotivanti limitazioni imposte dal rischio di un contagio che miete vittime in gran numero non appena la presunzione umana, associata a non poca incoscienza, si azzarda a sfidarlo apertamente, in una sorta di braccio di ferro che, guarda caso, vede l’uomo quasi sempre sconfitto e costretto a cedere.
Ecco, allora, la conseguente necessità di ricorrere sempre di più alla moderna tecnologia, alla quale chiediamo di affiancarci, ampliando al massimo quello straordinario e affascinante mondo che si identifica nelle video conferenze, nello smart working, in Skype e in tutti quegli utilissimi strumenti che ben si adattano a farci rispettare il principio della ‘distanza sociale’.
Sempre più scienza, dunque, per trovare, oltre a medicinali e vaccini salvavita, anche soluzioni efficaci che ci consentano comunque qualche rapporto sociale e una sia pur ridotta vita di relazione anche quando non possiamo incontrarci e muoverci liberamente.
Spostando ora per un attimo la grande concentrazione che dobbiamo mantenere sia nei confronti della ricerca medica e farmacologica, sia per rispettare il necessario isolamento sociale, fanno indubbiamente riflettere le immagini, diffuse proprio in questi giorni, che mostrano gli exploit e gli interventi terapeutici di un cavallo, Peyo, che, ignaro della sua condizione di semplice animale, poco incline cioè agli studi e agli approcci scientifici, sta frequentando, con lodevole pazienza e disponibilità, le corsie di un gran numero di ospedali dove fa visita a pazienti più o meno gravi apportando, e non certo a parole, conforto, sostegno e perfino indicazioni diagnostiche, grazie al suo fiuto e al suo istinto davvero ‘bestiale’.
Fa riflettere, e a me è successo, che proprio nel momento in cui l’essere umano si sta scoprendo più fragile e rivolge tutte le sue speranze e aspettative al mondo razionale e sperimentativo degli studi scientifici, sia proprio un umile ma devoto e sensibile cavallo a ricordarci quali siano le nostre origini e che cosa, forse, stiamo rischiando di perdere se ci addentreremo sempre più avventatamente, cioè senza equilibrio e senza la necessaria consapevolezza, in un mondo che non sa più distinguere il reale dal virtuale, rendendo il primo schiavo e subalterno del secondo.
Viva la scienza, dunque, quella vera, quella che ci aiuta a crescere e a vivere meglio, ma non trascuriamo la nostra potenzialità di esseri ‘senzienti’, capaci cioè di ascoltare non solo le parole ma anche, e soprattutto, l’istinto, quello buono e positivo, proprio come fa questo straordinario cavallo, protagonista indiscusso del filmato che segue.
“Il mio regno per un cavallo!” esclama Riccardo III nell’opera di Shakespeare a lui dedicata.
Come dargli torto?
Roberto Timelli