Negli ultimi dieci anni, abbiamo assistito a una silenziosa ma inesorabile emorragia di intelligenze dal nostro Paese. Non si tratta di un esodo di massa di disperati in cerca di fortuna, ma di giovani menti brillanti, spesso con titoli di studio prestigiosi e un potenziale enorme, che varcano i confini nazionali con un biglietto di sola andata. La destinazione? Paesi che sanno valorizzare il merito, che investono nella ricerca e nell’innovazione, che offrono opportunità concrete di crescita professionale e personale.
E qui, in questa “culla della civiltà”, cosa offriamo ai nostri giovani più promettenti? Un mercato del lavoro asfittico, meritocrazia spesso calpestata dal clientelismo e dalla raccomandazione, stipendi da fame che non riconoscono il valore del loro impegno e della loro preparazione. Offriamo una burocrazia elefantiaca che soffoca ogni slancio imprenditoriale, un sistema fiscale opprimente che premia chi evade e punisce chi produce, una politica miope che taglia fondi alla ricerca e all’istruzione come se fossero superflui orpelli.
Non ci si può certo sorprendere se i nostri laureati in ingegneria, in medicina, in fisica, in informatica, preferiscono mettere le proprie competenze al servizio di nazioni che li accolgono a braccia aperte, offrendo loro stipendi dignitosi, prospettive di carriera stimolanti e un ambiente in cui il loro talento è considerato una risorsa preziosa, non un fastidio da ignorare.
Sentiamo spesso parlare di “eccellenze italiane“, di cervelli che si distinguono all’estero. Ma ci rendiamo conto che queste eccellenze sono tali nonostante l’Italia, non grazie all’Italia? Ci rendiamo conto che stiamo inesorabilmente depauperando il nostro capitale umano più prezioso, condannando il nostro Paese a un futuro di stagnazione e declino?
È facile riempirsi la bocca di retorica sulla bellezza del nostro paesaggio, sulla ricchezza della nostra storia, sulla bontà della nostra cucina. Ma cosa ne sarà di tutto questo se non avremo più le menti capaci di innovare, di creare, di far progredire la nostra società? Cosa resterà se continueremo a considerare i nostri giovani talenti come pedine sacrificabili in un gioco al ribasso, preferendo investire in sagre di paese e in inutili opere pubbliche piuttosto che nel futuro della nostra nazione?
La fuga dei cervelli non è solo un problema individuale di chi parte, è una ferita profonda per l’intero Paese. È un sintomo di una malattia grave, di un sistema che non funziona, che non sa prendersi cura dei suoi figli migliori. Fino a quando continueremo a ignorare questo grido d’allarme, fino a quando non metteremo al centro dell’agenda politica la valorizzazione del merito e la creazione di opportunità concrete per i nostri giovani, l’Italia resterà una terra meravigliosa da visitare, ma sempre più povera di quelle menti brillanti che potrebbero costruirne un futuro migliore. E allora non potremo fare altro che piangere sul latte versato, ammirando da lontano il successo di quei “cervelli” che noi stessi abbiamo costretto ad andarsene.
Buona Pasqua a tutti !